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Carmine Bonacci, l’enfant prodige dei caprini a Giano Vetusto7 min read

9 Gennaio 2021 6 minuti di lettura

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Carmine Bonacci, l’enfant prodige dei caprini a Giano Vetusto7 min read

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Terra e cielo. Acqua e fuoco. Notte e giorno. Come umanità le dicotomie sono qualcosa che ci portiamo dentro in maniera così profonda che sarebbe impossibile tracciarne le prime espressioni. La figura di Ušmu, antichissimo Dio sumero a due facce, però sicuramente ne è una rappresentazione molto chiara. Dovremo aspettare ancora molto tempo per assistere all’apparizione di Giano, divinità prettamente romana, il cui nome deriverebbe dal verbo ire, cioè andare, a sottolineare il moto costante del ciclo dell’esistenza, i suoi continui inizi e le sue continue fini.

L’arrivo

Il cielo diventa sempre più scuro, abbiamo con noi la macchina fotografica e non ci facciamo spaventare certo dalle minacce di quattro nuvole scure. Riusciamo a raggiungere in maniera abbastanza facile casa di Carmine Bonacci, che per i nostri standard vuol dire che gli facciamo solamente 5 colpi di telefono prima di capire che strada imboccare. In fondo perderci per l’alto casertano è la nostra vera passione.
Scrutiamo una sagoma indefinita dietro i finestrini quasi del tutto oscurati dalla pioggia che nel frattempo veniva giù a secchiate. Il cielo aveva mantenuto la sua promessa e stava annaffiando Giano Vetusto a più non posso.

Ancor prima che la pioggia ci bagni la testa, ci si riempiono i due nasi di un profumo inconfondibile che quando lo senti vuol dire una sola cosa: capre! Personalmente adoro le capre, sono tra i miei animali preferiti e probabilmente per questo sono leggermente più emozionato di quanto dovrei essere. Ricordo ancora quando la prima volta ne guardai una negli occhi restando letteralmente stregato. Per chi non lo sapesse le capre hanno davvero delle pupille stranissime, vai a controllare su google, ti aspetto. La ciclicità con cui gli eventi si ripetono è qualcosa di incredibilmente presente nell’alto casertano. Non soltanto nei cicli della natura che regolano le semine, le vendemmie, le raccolte, le potature.

Il silenzioso cammino della tradizione

Si vede soprattutto in un fenomeno molto interessante che abbiamo notato come un vero e proprio pattern comune a molti dei produttori che stiamo incontrando durante il nostro viaggio di scoperta. Stiamo parlando di una linea sottile ma robusta che collega due generazioni distanti nel tempo ma vicine nella vocazione. Così come avvenuto per il recupero dei semi che hanno riportato sul mercato prodotti unici come l’antico pomodoro riccio che altrimenti sarebbero andati persi per sempre, la stessa dinamica ha rispolverato anche una serie di nozioni più pratiche e umane.

Per recuperare un prodotto come la Cipolla di Alife, che altrimenti sarebbe scomparsa nel giro di un paio d’anni da ora, c’è stato bisogno di recuperare non solo fisicamente i semi ma anche una serie di nozioni sulla cura, la semina, la raccolta, la trasformazione, la conservazione e tanto altro. Ogni storia ha sempre due facce: da un lato c’è un prodotto finito d’eccellenza che racconta tutta la sua storia attraverso il suo sapore unico, dall’altro lato c’è il lavoro duro di ogni giorno fatto di levatacce quando tutti gli altri dormono, sacrifici, passione, impegno e amore per il territorio.

L’incontro con Carmine Bonacci, un pastore coraggioso

Ci si presenta davanti in tutta la sua essenza, semplice all’apparenza ma dal carattere molto ben formato nonostante la sua giovane età, ventotto anni. Mani piene di lavoro, sorriso genuino e tanta intelligenza dietro uno sguardo timidamente deciso. Ci guida nel suo laboratorio, non prima di una pausa caffè con la madre. È lei stessa a raccontarci, con il cuore in mano la storia incredibile di suo figlio, un ragazzo che a soli diciannove decide di non accontentarsi delle certezze del “posto fisso” per dedicarsi alle capre, contro tutto e tutti. Carmine Bonacci inizia così il suo cammino, giorno dopo giorno, con le capre e i raggi del sole che riscaldano le colline di Giano Vetusto a fargli compagnia.

Come il Dio Giano di cui il luogo in cui Carmine Bonacci abita porta il nome, la sua decisione ha due facce ben distinte. Una guarda al passato, da cui attinge saperi, sapori, sapienza rurale e l’altra guarda al futuro, il suo stesso e quello collettivo. Grazie allo sguardo al futuro Carmine produce alcuni tra i più interessanti caprini che abbia mai avuto il piacere e l’onore di mettere sotto i denti. Pezzo dopo pezzo ci esplodono in bocca sapori intensi. Morso dopo morso stabiliamo un contatto sempre più forte con Carmine e il suo gregge, i suoi cicli fatti di pascolo, mungitura, trasformazione, sperimentazione. Questa roba qui non è solo formaggio, è emozione pura. Io e Mirco ci scambiamo sguardi che non hanno bisogno di parole. Fuori piove a dirotto ma a noi non interessa.

Le Curti, azienda-prodigio in cui Carmine Bonacci mette tutto se stesso

Nel laboratorio di Carmine l’aria è una nebbia di profumi misti che lasciano impazzire lentamente il cervello che cerca di catalogarli tutti. Ci porta a vedere la vasca in acciaio dove tiene il latte del giorno che a noi sembra tantissimo. Ci fa vedere le varie fasi che attraversa fino a diventare una forma bassa e larga o stretta e alta o ancora tutta nera intorno tinta di vino, coperta di fiori, di paglia, di foglie. Ci appare un tagliere sotto il naso e nemmeno ci accorgiamo di quando l’abbia poggiato lì. Con un coltello bello minaccioso inizia a fare le fette ed è subito magia. Gli chiedo l’ordine di degustazione.

I formaggi di Carmine Bonacci

Consistenze che non pensavamo potessero esistere, sapidità a livelli totalmente nuovi per i nostri palati, sentori di capra, paglia, vino, tartufo, latte. Una festa sensoriale privata, in un mattino di fine Maggio, mentre fuori piove a dirotto con uno dei più promettenti casari di caprino del territorio, a detta di quelli di cui ci fidiamo per questo genere di cose. Per tutto il tempo nel laboratorio c’era una presenza particolare. Se ne stava in disparte nella sua piccola anfora di terracotta. Uno stare in disparte che si fa notare. Una scritta chiara e in corsivo sull’anfora ci incuriosisce e alla fine la curiosità batte l’imbarazzo e chiediamo se fosse davvero conciato romano. Sì, lo è.

In questo momento se fosse un film ci butterei un bello stallo alla Sergio Leone, con campi strettissimi e montaggio serrato sugli occhi e sulle fronti tese che sudano. Manco a dirlo pochi secondi dopo assaggiamo il nostro primo pezzetto di conciato romano. L’esperienza ad oggi resta una delle più sorprendenti e sicuramente a livello di gusto quella più intensa. Il primo morso rompe il piccolo pezzetto di formaggio e ne rilascia lo spirito che vola libero come se imprigionato da anni. Assaggiare questi formaggi è come dare un morso al territorio, sentire il sapore degli anni che collegano le generazioni.

Una scelta di coraggio

Quella di Carmine a quelle da cui ha preso spunto per la sua scelta di coraggio; quelle moderne a quelle antiche, fino a risalire ai popoli antichi, a quelli che veneravano Giano, unica divinità a non avere padre. Unica, insieme a Quirino, a non avere una controparte ellenica. Ancora con il sapore fortissimo del conciato che passeggia pigro tra il palato, il naso e le guance, Carmine ci porta a vedere le sue amate capre. O meglio ci porta a far vedere dal suo gregge. Animali dal carattere testardo e molto curioso ci guardano immobili tutte quante. Dalla più grande e anziana fino alla più piccola, immobili come se avessimo interrotto una festa. Sono tutte bellissime, in salute e Carmine le guarda con lo sguardo fiero e tronfio del passato e del futuro insieme. Provo ad accarezzarne qualcuna ma non si fidano che di lui.

Ci dice che si è fatta ora di portarle al pascolo. Gli chiediamo se nonostante la pioggia scrosciante debbano comunque uscire, ci risponde che la natura non conosce questi impedimenti e che i suoi cicli sono sacri e vanno rispettati. Lo stesso motivo per cui anche lui, come quasi tutti i nuovi contadini dell’alto casertano che stiamo incontrando sulla nostra strada, una delle cose più pesante è proprio quella di dover fare delle levatacce. Un ritmo naturale e armonioso, come una musica, che ti stanca il giusto e ti fa andare a dormire stanchissimo ma con un sorriso sincero.

Alla prossima!

Ci lasciamo poco dopo, torniamo in auto ancora col sapore dei formaggi a spasso per la bocca, mentre gli occhi ci si riempiono delle stradine di Giano Vetusto sulle quali ci perdiamo quasi subito e la fresca aria che segue la pioggia ci carezza la pelle. Torneremo presto, sia a prendere altri formaggi che a scattare altre foto oltre che a scambiare ancora quattro chiacchiere. Io spero di conquistare la fiducia delle capre la prossima volta. Magari la prossima volta andiamo al pascolo con Carmine Bonacci e il suo gregge. Ne parliamo e diventa già una storia del passato mentre guardiamo con la faccia del futuro verso la prossima tappa, con il cielo che si squarcia leggermente e promette sole all’orizzonte.

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